Oratorio di San Sebastiano

Monumento: Oratorio di San Sebastiano

Ubicazione: Costarainera

Datazione generale: Fine del sec. XV-inizi del sec. XVI

Descrizione generale: L’edificio, oggi in completa rovina, conserva ancora intatti i principali caratteri della sua architettura storica. Nella fattispecie, si riconosce un impianto quattrocentesco a due navate scandito da una coppia di colonne sormontate da altrettanti capitelli lavorati a bassorilievo su cui imposta una serie di basse archeggiature che, un tempo, erano destinate a sostenere il peso delle travature lignee di copertura. La facciata, posta a ovest, non sembra aver mai posseduto una vera dignità architettonica e, oggi come allora, aderisce al costone roccioso che accoglie l’intera fondazione. Discorso diverso per la coppia di absidi rettilinee che, poste sul capo orientale delle navate, si affaccia su una distesa di terrazze olivate disegnando una planimetria dalla forma rettangolare allungata. Gli ingressi, oggi non più esistenti, prendevano posto lungo i fianchi laterali secondo uno schema diffuso nel Medioevo per quegli edifici religiosi che, eretti a diretto contatto con un ambiente aspro e difficile, privilegiavano gli assi e le vie di comunicazione. In tal senso, l’oratorio di San Sebastiano si definisce un edificio adiabasico in quanto dotato unicamente di vie di accesso laterali.

Stato di conservazione: L’edificio, ammantato di un fascino quasi romantico che deriva dalla scoperta inattesa delle sue rovine, versa in un accentuato stato di degrado. Attualmente, infatti, i ruderi di San Sebastiano si risolvono nei brani murari della facciata, dei fianchi laterali, del colonnato interno e dell’area absidale, forse la zona meglio conservata. Si tratta di una situazione pregressa e maturata già dalla fine del Cinquecento a seguito dell’isolamento rispetto ai centri abitati e, dunque, della esposizione alle aggressioni provenienti dal mare. Da allora, l’oratorio è stato via via abbandonato e destituito dal culto, anche in ragione del veloce trasferimento nella chiesa parrocchiale di Lingueglietta (l’oratorio nacque infatti all’interno della giurisdizione politica ed ecclesiastica di Lingueglia) e nella cattedrale di Albenga delle cappellanie e dei modesti redditi con cui si era sostenuto. Officiato saltuariamente ancora sino al XIX secolo, nel 1953 venne sottoposto a un restauro conservativo che, purtroppo, non è riuscito a scongiurarne il lento e costante degrado.

Cenni storici:

isolato rispetto ai borghi limitrofi e quasi dimenticato dagli uomini, dal tempo e dalla storia fra le campagne lussureggianti di olive, l’oratorio campestre di San Sebastiano è un piccolo gioiello dell’architettura tardomedioevale che si mostra inatteso agli escursionisti in cerca di tesori d’arte.

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Le sue rovine, così suggestive e ricche di un fascino romantico, oggi sorprendono non poco per via della collocazione apparentemente defilata, priva di ogni logica e, di certo, anche per la tenacia con le quali resistono allo scorrere dei secoli e all’azione degli agenti atmosferici. In realtà, il monumento rappresenta un documento unico sulle strategie di comunicazione e di promozione adottate dai Lingueglia entro i confini del loro feudo. Sfortunatamente, non esistono documenti scritti in grado di illuminare le origini storiche, politiche e religiose che si celano dietro la sua fondazione. Tuttavia, come ben dimostra lo scudo dalle bande traverse che campeggia su uno dei due capitelli che reggevano l’imposta del tetto, appare certo il diretto coinvolgimento dei Signori di Lingueglia (i Linguilia o Vinguilia). L’oratorio, in effetti, fu costruito intorno alla fine del XV secolo o, al più tardi, entro i primi decenni del XVI secolo a ridosso di una delle diramazioni principali dell’antica Via Julia Augusta (l’arteria romana di grande scorrimento), che conduceva dal borgo occidentale di San Lorenzo al Mare (la “San Lorenzo della Lingueglia”) al castello di Lingueglietta, sede della signoria feudale. Non sappiamo se la costruzione insista sul sedime di una fondazione precedente, anche se ciò appare alquanto improbabile data la natura rocciosa del piccolo spiazzo al quale sono state frettolosamente ancorate le basi unghiate delle colonne e l’intera struttura muraria.

Di certo, l’intitolazione dell’oratorio campestre è rivelatrice di una funzione a un tempo votiva/devozionale e sociale/assistenziale che la dice lunga sui criteri adottati nella scelta del sito. San Sebastiano fu, specialmente a partire dalla grande “peste nera” che flagellò l’Italia e l’Europa nel 1348 circa e ancora durante il basso Medioevo, uno dei maggiori santi protettori invocati contro le epidemie e le cicliche pestilenze che flagellarono anche le zone del Ponente Ligure fra Quattro e Cinquecento. Dunque, al culto del santo, come avveniva del resto anche per i numerosi edifici “extra muros” dedicati ai grandi taumaturghi del Medioevo (san Rocco, san Fabiano o sant’Antonio Abate per esempio), alcuni ignoti esponenti dei Lingueglia consacrarono un edificio a due navate che sorgeva in corrispondenza di un sentiero che attraversava il cuore dei domini feudali e che, quasi certamente, comunicava con una struttura di servizio, forse una “domus”, destinata a lazzaretto. Sebbene la natura accidentata del terreno e la fitta boscaglia di olivi che si erge all’intorno non consentano ancora di chiarire questo dato fondamentale, il sistema di ingressi programmato in origine, il rilievo della committenza e, per così dire, il tono aulico che doveva possedere questa chiesa campestre, se comparata allo standard architettonico cui siamo abituati per le coeve cappelle rurali, si direbbero elementi sufficienti per confermare l’ipotesi.

I dati di stile della coppia di capitelli e delle basi ungolate delle colonne, del resto, confermano che l’oratorio di San Sebastiano venne edificato dalle stesse maestranze attive nel cantiere cinquecentesco di ricostruzione dell’antica parrocchiale di Cipressa e Costarainera, la chiesa di Sant’Antonio Abate (1511 circa). Si tratta di una bottega itinerante di lapicidi lolcali che si erano addestrati nella cosiddetta “scuola di Cénova”, in Valle Arroscia, e che si esprimevano sulle cifre di un’arte “senza tempo”, arcaica, rude, primitiva e ancora fortemente imbevuta di suggestioni romaniche. Un’arte che, a ben vedere, descriveva pienamente i canoni estetici conservatori della committenza e dei fruitori e che, in breve, rappresentava una scelta formale in controtendenza rispetto alla classicismo rinascente nei principali centri comunali e signorili della penisola italiana. Sulle facce dei due capitelli sferocubici, infatti, scorre una lunga teoria di immagini che ritorna anche nel corredo scultoreo di Sant’Antonio e che si direbbe attingere direttamente alla tradizione simbolica paleocristiana. Coppe biansate che ricordano i kantharoi della vita eterna, croci patenti che sbocciano da un Calvario in fiore come simbolici “arbores vitae” o che, in alternativa, s’inscrivono in medaglioni raggiati e, infine, il monogramma di Cristo nella variante greca e in quella latina predicata in loco da san Bernardino da Siena (1418) rappresentano altrettanti sigilli benaugurali posti su un edificio religioso di grande significato.

La fortuna dell’oratorio e dell’ospizio annesso fu di breve durata. I documenti della fine del Cinquecento e, soprattutto, del Seicento e Settecento narrano le vicende di un progressivo degrado che, specie a partire dalla metà del XVI secolo, fu accelerato dalle incursioni turche che, è proprio il caso di dirlo, si aggiunsero ai già gravosi flagelli delle epidemie. Fra i vari fattori che incisero sulla conservazione in negativo dell’edificio, tuttavia, si deve annoverare anche la cattiva gestione dei redditi che lo sostenevano sin dalla fondazione. Oneri che gli eredi dei primi legati testamentari disertarono sistematicamente, preferenndo di gran lunga l’incasso delle rendite, degli affitti e del riscatto dei debiti ceduti a prestito. Badando sin da allora, beninteso, a mantenere quanto più solide le rovine di un edificio illustre e sfortunato, che non era più agevole per il culto e che rappresentava un vero “tesoro” per le rendite delle terre che gli erano sottomesse.

Stefano G. Pirero

Costarainera